Quando arrivi a Terezín nei mesi d’autunno, il vento ti accoglie prima delle persone. Gli autobus si fermano davanti alla porta della fortezza, e ne scendono scolaresche – ragazzi con zaini e sguardi curiosi, che guardano ma ancora non comprendono.
La città tace. Non è un silenzio qualunque, ma un silenzio a strati, che si deposita come foglie nel cortile delle caserme.
Nelle Città invisibili di Calvino, Terezín sarebbe una di quelle che “non sono scomparse, ma hanno smesso di essere visibili a chi ci abita”. È una città dove ogni pietra porta un nome, e tuttavia nessun nome è scritto. Una città che vive nella memoria di chi è partito, e nel fraintendimento di chi arriva.







🚶♀️ I ragazzi passeggiano tra i corridoi, fotografano, sussurrano. Gli insegnanti raccontano la storia, ma la città parla in un altro modo – nell’odore dell’intonaco umido, nel gancio arrugginito sul muro, nel numero sbiadito su una porta. Terezín comunica attraverso le cose, non attraverso le parole. Quando attraversi il cortile, hai l’impressione che qualcuno ti osservi – non un fantasma, ma la memoria stessa, che non vuole essere dimenticata.
🌫️ Terezín in autunno è una città calviniana, perché non è un solo luogo. È una città del passato e del presente, del visibile e dell’invisibile. È uno spazio dove il passato diventa paesaggio e il presente solo la sua nebbia.
E quando l’autobus con gli studenti riparte verso Praga, la città torna a sognare. Restano solo pochi sguardi, qualche passo silenzioso sulla polvere vicino al portone. Terezín è una città che non si può capire – si può solo ricordare.
Napsat komentář